In una recente comunicazione della Commissione europea al Parlamento sulla politica di coesione in Europa in vista del 2050 viene riassunta la traiettoria economica e sociale che ha riguardato le regioni europee dal 2001 al 2019, senza tralasciare gli effetti della pandemia.
Il documento è interessante per capire i cambiamenti che hanno riguardato le regioni all’interno dei singoli Stati membri e nel più ampio contesto europeo in un periodo complesso e sufficientemente lungo e per avere un’idea dell’incisività della stessa politica che l’Unione europea dedica alla riduzione delle disparità regionali.
L’Italia e la Grecia risultano gli Stati che hanno subito più fortemente la crisi economica e finanziaria del 2008 e da allora hanno fatto fatica a riprendersi, finendo in una “trappola dello sviluppo” per liberarsi dalla quale si suggerisce di “promuovere l’istruzione e la formazione, aumentare gli investimenti in ricerca e innovazione e migliorare la qualità delle proprie istituzioni”.
Le disuguaglianze regionali sono in calo dal 2008, ma restano più grandi di quanto non fossero nel periodo precedente la crisi economica. La pandemia ha acuito disuguaglianze e povertà, mettendo fortemente in discussione le stesse aree più urbanizzate ed evidenziando le differenze nella capacità dei vari sistemi sanitari di far fronte all’emergenza.
In questo contesto, il nostro Paese si è periferizzato rispetto al cuore produttivo e più dinamico dell’Europa, quello centro-orientale, e le Marche si sono anch’esse ulteriormente periferizzate. Le aree interne e montane della nostra regione hanno subito in maniera più accentuata lo stesso processo, fino al punto di rottura rappresentato dal sisma del 2016/2017. Lo scivolamento di Marche e Umbria tra le regioni “in transizione” è la diretta conseguenza di un declassamento che ha riguardato l’intero sistema Paese e che le aree più fragili e deboli hanno pagato maggiormente.
La politica di coesione ha avuto di fatto una funzione sostitutiva rispetto alla caduta degli investimenti pubblici nazionali nell’arco di tempo esaminato. Con la pandemia c’è stata la svolta: la nascita del Next Generation EU e la prima condivisione del debito e di un abbozzo di politica fiscale nell’eurozona.
Il drammatico complicarsi del quadro geopolitico e macroeconomico, dovuto alla guerra in Ucraina, lascia intendere che questa condivisione dovrà proseguire in tempi rapidi anche nella difesa comune e auspicabilmente in una comune politica energetica. La politica di bilancio, il Patto di stabilità e crescita, la materia degli aiuti di stato e la stessa politica di coesione dovranno necessariamente cambiare.
Le transizioni verde e digitale, a cui sono affidate le nuove opportunità di sviluppo, “richiederanno cambiamenti strutturali significativi che rischiano di creare nuove disparità regionali”, soprattutto nelle aree più deboli e in presenza di fattori perduranti di instabilità sui mercati e nell’approvvigionamento di materie prime. Non a caso c’è già chi propone di diluire i tempi di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e della transizione energetica dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. Inesorabile procede la terza transizione, quella demografica che “potrebbe indebolire sia la coesione che la crescita”.
In un simile scenario, senza un decisivo ingrediente di equità e giustizia sociale sarà impossibile procedere nella direzione imboccata dall’Europa e, siccome indietro non si può tornare, si rischia seriamente di alimentare un forte malcontento nei confronti della democrazia.
La nuova politica di coesione dovrà avere un approccio dal basso e dall’alto; avere una visione territoriale chiara di come questi processi di transizione vanno gestiti, insieme ad un’attuazione ambiziosa non solo del pilastro europeo dei diritti sociali, ma di un’Europa più politica e sociale. Ciò vuol dire protagonismo delle forze politiche e dei corpi intermedi e stabilizzazione di una politica per gli investimenti pubblici a livello europeo (di cui il Next Generation EU è il primo passo), che coinvolga i livelli territoriali di governo e stimoli l’iniziativa privata e della società civile.
Le Marche, finite nella “trappola dello sviluppo intermedio”, che le accomuna ad altre regioni europee dove la traiettoria industriale è tutto sommato recente, i costi di produzione più alti e la capacità innovativa troppo bassa rispetto alle regioni più avanzate, sono chiamate a riposizionarsi. Consapevoli delle complicazioni aggiuntive indotte dal conflitto russo-ucraino, che rischia di sancire nel cuore dell’Europa la faglia principale di un nuovo bipolarismo internazionale in versione sino-americana.
Pensiamo, soltanto, al necessario ri-orientamento del nostro export su nuovi mercati e agli effetti, forse non tutti negativi, di una spedita continentalizzazione delle filiere produttive e commerciali, che richiede però un mercato interno europeo più vivace e una convergenza nelle politiche fiscali e dei redditi dei vari Paesi.
Un riposizionamento che potrebbe iniziare con una programmazione intelligente e coordinata degli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del Fondo complementare sisma, con i Programmi operativi regionali dei fondi europei 2021-2027.
Insomma, c’è ancora da scavare e molto da fare per ritrovare il sentiero di crescita delle Marche.